ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 26 aprile 2024

Umbria, vini da museo a Torgiano e Montefalco

Pochi vini, in Umbria, riescono a rappresentare il concetto di terroir come il Montefalco Sagrantino, varietà autoctona di origine controllata e garantita (Docg) che si produce solo a Montefalco e nei vicini comuni di Bevagna, Castel Ritaldi, Giano dell’Umbria e Gualdo Cattaneo, in un territorio collinare traboccante di bellezza, definito da Herman Hesse «uno dei luoghi più pacifici della terra», che, con le sue atmosfere medioevali e il verde della natura, ha fatto da sfondo alle pitture di Benozzo Gozzoli, del Perugino e di Pinturicchio.

Prodotto nelle tipologie secco (indicato per le carni rosse e la cacciagione) e passito (ottimo con la pasticceria), questo rosso autoctono ha una storia antica. Seppure non esistano documenti che ne testimonino la produzione prima del XVI secolo, molti reputano che quest’uva dalle bacche nere sia giunto in Umbria, dall’Asia Minore o dalla Spagna, tra il Trecento e il Quattrocento grazie a qualche seguace di San Francesco d’Assisi desideroso di vivere l’esperienza monastica. Secondo questa narrazione, il nome Sagrantino deriverebbe, dunque, dai termini latini «sacer» e «sacramentum», visto che i frati francescani ricavavano dal loro prezioso vitigno, caratterizzato da una maturazione tardiva e da un’eccezionale ricchezza di polifenoli, un passito destinato alle funzioni religiosi.
 
Altri, invece, per risalire alle origini di una storia che ha conquistato il mondo con la sua eccellenza fanno riferimento alla figura di Federico II di Svevia che, intorno al 1240, trasformò il borgo di Coccorone in Montefalco dopo che il suo prezioso falco sacro, ferito durante una battuta di caccia, fu salvato con un medicamento a base di vino locale, una bevanda tratta dall’uva «Itriola», già citata nel I secolo d.C. dallo scrittore e naturalista Plinio il Vecchio in un passo della sua opera enciclopedica «Naturalis Historiae», che da allora fu denominata «Saqr-ans», ovvero «vino che cura il falco sacro».
 
È, invece, quasi certo che sia un Sagrantino la bottiglia di vino rosso sulla mensa del cavaliere da Celano dipinta da Benozzo Gozzoli negli affreschi che ornavano l’abside della chiesa francescana di Montefalco. Non è, dunque, un caso che all’interno di questo luogo, oggi uno dei musei civici più importanti del Centro Italia per la sua preziosa testimonianza della pittura rinascimentale dei secoli XV e XVI, sia stata inaugurata - grazie a una vincente sinergia tra pubblico e privato - una nuova sezione immersiva dedicata al «nettare degli dei» prodotto a Montefalco.
 
La visita al Museo del Sagrantino, collocato nel Complesso museale san Francesco, in spazi recentemente rinnovati sotto la supervisione dell’architetto Bruno Gori, è un’esperienza visiva e sensoriale, che si avvale di un accurato allestimento a cura di Stefano Mosconi e Michele Giuseppe Onali.
 
Temi chiave del nuovo spazio, gestito da Maggioli cultura e turismo, sono: vitigno, vino, territorio, tradizione, cultura. La visita parte dalle antiche cantine, scoperte nel 2006 in seguito ad alcuni lavori di restauro e già allestite con oggetti della tradizione contadina locale grazie alla collaborazione di Luigi Gambacurta e Giulia Rotoloni. Nel percorso sono esposti, poi, materiali del XVIII e XIX secolo legati alla lavorazione delle uve e alla produzione in cantina, documenti, fotografie e video illustrativi: un insieme di manufatti utili per scoprire un territorio e la sua storica tradizione vitivinicola, frutto di «amore, dedizione, intelligenza e caparbietà».
 
Sempre in Umbria compie mezzo secolo un altro museo dedicato al vino, quello di Torgiano, finito anche sulle pagine del «New York Times» per la sua particolarità e per la qualità delle sue collezioni.
Nato da un’idea di Giorgio e Maria Grazia Lungarotti, lui fondatore dell’omonima azienda vitivinicola che ha reso l’Umbria del vino famosa nel mondo, lei storica dell’arte e archivista, questo museo aprì le proprie porte il 23 aprile del 1974, nella suggestiva notte di San Giorgio, tradizionalmente caratterizzata dall’accensione di falò propiziatori tra le vigne.

Ospitato nei seicenteschi del monumentale Palazzo Graziani-Baglioni, dimora estiva gentilizia del XVII secolo, lo spazio conserva oltre tremila manufatti distribuiti lungo venti sale. Si tratta di reperti archeologici, attrezzi e corredi tecnici per la viticoltura e la vinificazione, contenitori vinari in ceramica di varie epoche (dal Medioevo a oggi), incisioni e disegni dal XV al XX secolo, testi di viticoltura ed enologia, manufatti d’arte orafa, tessuti e altre testimonianze che documentano l’importanza del vino nell’immaginario collettivo dei popoli che hanno abitato, nel corso dei millenni, il bacino del Mediterraneo e l’Europa continentale. Mantegna, Guttuso, Picasso, ma anche Josef Hoffmann, Cocteau, Joe Tilson;, Fornasetti, Dorazio, Venini sono alcuni degli artisti in esposizione, che si sono cimentati con una propria interpretazione del «nettare di Bacco».

Per festeggiare i cinquant’anni dal taglio del nastro è stata ideata un’edizione limitata del Brut millesimato di Lungarotti, impreziosita da un’etichetta ispirata all’«Infantia de Bacho» di Giorgio Andreoli (Gubbio, 1528). È stata inaugurata anche una mostra fotografica, visitabile fino al 31 ottobre, che ripercorre i momenti più significativi di questi dieci lustri di divulgazione della cultura della vite e del vino attraverso l’evoluzione delle collezioni, le visite di personaggi illustri, i convegni a tema, le pubblicazioni, le mostre in sede e nel mondo, da New York a Shanghai, da Tokyo a Osaka, da Kyoto a Mosca, da Bordeaux a Milano.
 
L’esposizione fotografica è soltanto la prima di una serie di iniziative che si svolgeranno durante tutto il 2024 per celebrare l’arte e la cultura del vino e del «buon bere». Fino al 28 aprile, il museo ospita, per esempio, la mostra «Convivial vessels», con opere in ceramica realizzate degli studenti della Franklin University Switzerland. Tra maggio e luglio si terrà una mostra grafica dell’artista polacco Andrzej Kot (Lublino 1946-2015), famoso in patria per i suoi gatti declinati in centinaia di fantasiose raffigurazioni sul filo dell’ironia e presente con suoi ex libris nella raccolta del museo di Torgiano. Durante l’estate i grandi acquerelli dell’artista inglese Richard di San Marzano faranno eco alle colorate ceramiche da vino conservate nel museo con «Vinum inundas», un tributo alla bellezza e al mistero del «nettare di Bacco». Concluderà l’anno espositivo una mostra di pittura contemporanea dell’artista irlandese Anne Donnelly, in programma per novembre.
 
A completare il cartellone celebrativo ci sono un convegno di studi sull’importanza strategica del turismo museale nella promozione di un territorio, e nella tutela e difesa dell’ambiente, in agenda a ottobre, e la pubblicazione, entro l’anno, del catalogo ragionato delle collezioni. È previsto, inoltre, l’ampliamento della sezione dedicata agli Etruschi grazie a prestiti e depositi realizzati nell’ambito del progetto TraMusei, marchio della Fondazione Lungarotti che identifica una rete di sinergie tra diversi istituti museali.

Didascalie delle immagini
1,Gio Ponti-Cooperativa Ceramica di Imola, Bottiglia mamma, Imola, 1994 - MUVIT Museo del Vino, Fondazione Lungarotti, Torgiano (PG); 2. Museo del Sagrantino di Montefalco (PG); 3. Affresco di Benozzo Gozzoli per la Chiesa di San Francesco a Montefalco; 4. Museo del Sagrantino di Montefalco; 5. Mastro Domenico Veneziano, Vaso da farmacia a palla, Venezia, 1560-1570 - MUVIT Museo del Vino, Fondazione Lungarotti, Torgiano (PG); 6. Jean Cocteau, Piatto con satiro, 1959 - MUVIT Museo del Vino, Fondazione Lungarotti, Torgiano (PG); 7. 1598 Pablo Picasso, Baccanale. MUVIT Museo del Vino, Fondazione Lungarotti, Torgiano (PG) 

Per saperne di più



lunedì 22 aprile 2024

«Pen and Paper», manifesti d’autore per la campagna Moleskine a favore della scrittura a mano

Oscar Wilde
vi appuntava i suoi celebri aforismi. Pablo Picasso, Henri Matisse e Vincent Van Gogh fissavano sui suoi fogli le idee per opere d’arte che sarebbero diventate immortali. Ernest Hemingway ne teneva sempre uno in tasca dovunque andasse, dai bistrot di Parigi agli alberghi di Venezia, e appena storie e personaggi bussavano alla porta della sua immaginazione metteva tutto nero su bianco. Lo scrittore inglese Bruce Chatwin, infine, ne era così innamorato da parlarne nel libro «Le vie dei canti», dove si legge la storia di una cartolaia parigina, in Rue de l’Ancienne Comédie, che vendeva blocchi per appunti dall’inconfondibile copertina nera cerata e rigida, simile alla «pelle della talpa», con gli angoli arrotondati, i risguardi trattenuti da un elastico e le pagine color avorio. Stiamo parlando del Taccuino Moleskine, ideato in Francia tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo e prodotto fino al 1986 da un’azienda a conduzione familiare di Tours.

La seconda vita del leggendario «quadernetto», immancabile compagno d’avventura dei maestri delle Avanguardie novecentesche, ha avuto inizio, invece, nel 1997 quando Modo & Modo, un piccolo editore milanese, ne ha rinnovato la tradizione grazie a una felice intuizione della scrittrice e sociologa Maria Sebregondi. Da allora il marchio Moleskine, che oggi ha la sua sede centrale nel capoluogo lombardo e filiali anche in America e in Giappone, si è diffuso in tutto il mondo. Quel taccuino per viaggiatori colti e moderni globetrotter, ispirato ai quaderni in cerata nera usati da Chatwin e da Van Gogh, è diventato così un’icona da portare con sé per fissare pensieri.

In occasione della Milano Design Week, la mostra «Moleskine Detour» ha visto sfilare, negli spazi della Pinacoteca ambrosiana e alla villa Bagatti Valsecchi di Varedo, un centinaio di opere uniche tra taccuini decorati, hackerati, trasformati in sculture o in graphic novel, riempiti di note, schizzi, dipinti e disegni realizzati da artisti e designer, architetti e musicisti, filmmaker e filosofi, tra cui Giorgia Lupi, Antonio Marras, Pascale Marthine Tayou e Joana Vasconcelos.
Questo inno alla scrittura e alla passione per la carta e la penna si chiude con «Pen & paper», campagna pubblicitaria cartacea di oltre duecento manifesti disegnati interamente a mano dal personale Moleskine e da un gruppo di studenti universitari di Milano.
Lo scopo di questa operazione promozionale, che sarà visibile in vari angoli di Milano per due settimane a partire dal 22 aprile, è quello di ricordare al grande pubblico che mettere penna su carta e scrivere a mano è, di fatto, utile per accelerare l'apprendimento, la conservazione della memoria e lo sviluppo del pensiero lineare. Da decenni le ricerche dimostrano che gli studenti che prendono appunti a mano ottengono punteggi più alti nei test rispetto a quelli che scrivono a macchina gli stessi appunti e che le persone che scrivono a mano i loro appuntamenti in un'agenda hanno maggiori probabilità di ricordare la data in seguito. La scrittura a mano non solo è utile nei modi sopra descritti, ma può anche aiutare i bambini con ADHD o facilitare la comprensione e l'apprendimento della matematica.

In un'epoca sempre più digitale, l'idea non è quella di privilegiare una realtà analogica rispetto a una digitale, ma piuttosto di incoraggiare le persone a non abbandonare l'una per l'altra, poiché è dimostrato che scrivere e scarabocchiare stimola il cervello in innumerevoli modi. Moleskine sostiene questa tesi affidandosi alle conoscenze e agli studi di esperti del settore, come i professori Audrey Van der Meer, Ruud van der Weel e Hetty Roessingh, la farmacologa comportamentale Kristin Wilcox, gli esperti di scrittura Irene Bertoglio e Giuseppe Rescaldina, nonché l'ex studente e ora giornalista Owen Ruderman.

La missione del marchio è sempre stata quella di promuovere il potenziale della carta nella nostra vita; la carta ci aiuta a esprimere le nostre idee, a giocare con la nostra creatività, a elaborare i nostri pensieri e, quando prendiamo uno strumento di scrittura per annotare e scarabocchiare istintivamente, il nostro cervello funziona meglio, proprio come una dieta sana e il movimento fanno bene al nostro corpo e alla nostra psiche.

Questa campagna è unica non solo per il suo concetto, ma anche per la sua esecuzione, visto che le scritte che raccomandano ai milanesi e non solo di riprendere in mano carta e penna, da «Scarabocchiare fa bene al cervello» e «Usare carta e penna libera la mente dai pensieri e fa diminuire l'ansia», sono interamente realizzate a mano.

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venerdì 19 aprile 2024

Milano Design Week #5, una «Walk of design» a Tortona, ma anche nei distretti di Isola, Certosa e Maciachini

È uno dei quartieri più amati e frequentati di ogni Fuorisalone dai professionisti del design e della progettazione grazie al suo ricco cartellone di installazioni, tavole rotonde, talks e mostre, che accosta giovani designer emergenti a grandi brand. Tortona, il distretto che parte dalla stazione di Porta Genova e anima i Navigli, non delude le aspettative nemmeno quest’anno con la sua «Walk of design», una passeggiata attraverso luoghi iconici come il Ponte degli artisti, l’antica Fabbrica 14 con la sua distintiva ciminiera, la Torneria Traviganti, l’imponente complesso dell’ex Ansaldo, l’Opificio 31 e la Galvanotecnica Bugatti. Questi spazi di archeologia industriale regalano, infatti, una marcia in più agli eventi promossi per l’edizione 2024 del Fuorisalone, in cartellone fino al 21 aprile, dal «Superdesign Show» a «Tortona Rocks», passando per le iniziative di Base, senza dimenticare «Il giardino dell’Otium», una piccola oasi di pace, ristoro e cura della mente e del corpo, progettata da Nardi, in cui prendersi del tempo per sé a contatto con la natura, per, poi, proseguire la propria passeggiata nel distretto alla scoperta di «nuovi orizzonti» che provano a disegnare «il mondo di domani».

Raccontare le ultime tendenze del design anche attraverso le nuove tecnologie, stimolando una riflessione nello spettatore tramite installazioni immersive, è, per esempio, l’idea che sta alla base del «Superdesign Show», l’evento, nato nel 2000, dove si intrecciano mondi virtuali, tecnologie umanizzate, rispetto della natura, materiali rigenerati. Oltre 40 progetti provenienti da 11 nazioni del mondo e realizzati da 80 aziende, in uno spazio labirintico che si tinge di verde brillante, colore che parla di natura e serenità, invitano a pensare differente, immaginando nuovi scenari urbani, domestici e sociali, come suggerisce il tema dell’anno: «Thinking different - everything, everywhere, everyone».

Ad animare il percorso espositivo, che è stato concepito da Gisella Borioli e che si avvale della supervisione di Giulio Cappellini, sono progetti che svelano l’orizzonte asiatico (con una particolare attenzione alla creatività giapponese, vietnamita e thailandese), riflessioni sull’economia circolare, idee progettuali della generazione Z (firmate, in molti casi, dagli allievi dell’Istituto Marangoni e della Jönköping University) e virtual point per immergersi in un universo digitale dove ologrammi, metaverso, avatar e intelligenza artificiale diventano gli assoluti protagonisti.
 
In questa grande agorà, che risponde «Why not?» all’invito a «pensare differente» e a uscire fuori dagli schemi (il riferimento è alla mostra di opere grafiche firmate da Daniele Cima al numero 2 di via Tortona 27), è da non lasciarsi sfuggire una visita a «Like Trees In The Woods», installazione dello scultore Michele D’Agostino, curata Giandomenico Di Marzio per il brand italiano NichelcromLab, specializzato nell’acciaio inox, che porta un mini-bosco in una stanza di circa 20 metri quadrati. Ad alto impatto visivo è anche «Time», con due opere avveniristiche e interattive sul tema del tempo e del futuro della mobilità elettrica, ispirate alla concept car Lexus Future Zero-emission Catalyst.

Altra tappa da non perdere è quella con i vetrai del Festival internazionale Designblok di Praga, che mettono in mostra, con la curatela di Jana Zielinski e Jiří Macek e il progetto espositivo di Jan Plecháč, dieci pezzi unici realizzati con approcci personali molto diversi, tutti spaziali. 

La convivialità intesa come bisogno collettivo di cura reciproca e solidarietà è, invece, il tema della quarta edizione di «We Will Design», la piattaforma che riunisce designer da tutto il mondo, in prevalenza giovani, scuole e università nel complesso dell’ex Ansaldo. Sotto l'etichetta «The Convivial Laboratory», vengono presentate, tra l'altro, due installazioni: «Flowair» di Ingo Maurer, con due grandi fiori gonfiabili che fluttuano accarezzati dal vento, e «Talamo», scultura performativa del duo di architetti italiani residenti a Londra Lemonot (Sabrina Morreale e Lorenzo Perri), realizzata in collaborazione con Xavier Madden e Katja Banovie. Si tratta di un letto immenso ma leggero, che diventa un palcoscenico in sospensione dinamica tra pavimento e soffitto, dove ammirare coreografie e performance teatrali.
 
Mentre nell’ambito di «Tortona Rocks», contenitore di eventi indipendenti che quest’anno ha scelto il tema «Prelude. Il design che verrà» come filo conduttore, spicca, tra gli altri, Ikea che presenta, al Padiglione Visconti, la mostra «1st (First)», progettata dall’architetto Midori Hasuike e dallo spatial designer Emerzon con l’intento di esplorare le tante «prime volte» che le persone vivono quando traslocano nella loro prima casa. Lo spazio del brand svedese è anche un luogo di ristoro, relax, divertimento e incontro, animato da un fitto programma di talks ed eventi musicali.

Proseguendo, all’Opificio 31, il vero cuore di «Tortona Rocks», è possibile ammirare, tra l’altro, l’installazione dinamica «Crystal Beat II», progettata da Michael Vasku e Andreas Klug, direttori creativi di Preciosa Lighting, azienda attiva nel settore del cristallo di Boemia. L’opera trasporta i visitatori in una dimensione onirica dove musica e luce si uniscono rendendo possibile un’immersione sensoriale totalizzante. Non meno affascinante è il progetto immersivo proposto da Archiproducts, un omaggio al ruolo vitale dell’acqua nella nostra esistenza, curato dallo Studio Pepe, che gioca sulle proprietà ottiche dell’elemento naturale, con la sua profondità e capacità di riflettere come uno specchio.

Un altro angolo di Milano che si anima di progetti per la Milano Design Week è il distretto Isola. Quest’anno mostre, installazioni, eventi, workshop e performance – per un totale di quaranta eventi, che coinvolgono più di trecento designer provenienti da quarantasette Paesi - sono riuniti sotto il titolo «This Future is Currently Unavailable», un invito ad agire per dimostrare che il design può essere il motore per affrontare le sfide del mondo reale, ridisegnando il futuro del pianeta e dell’uomo.
Il Fuorisalone di Isola approda in tre nuovi hub: Lampo Milano (in via Valtellina 5), mega progetto di riqualificazione urbana dello storico scalo ferroviario Farini che si articola su un’area di 40mila metri quadrati, il polo co-working WAO PL7 (in via Luigi Porro Lambertenghi 7), il centro culturale Stecca 3.0, ai piedi del Bosco verticale, ai quali si aggiunge la Galleria Bonelli (in via Luigi Porro Lambertenghi 6).
 
Tra le installazioni da vedere all’interno del distretto c’è «The Secret Garden» nell’atrio della stazione Porta Garibaldi, un allestimento curato da Claudia Zanfi per Green Island, dove scoprire vari progetti interamente realizzati con materiali naturali e sostenibili, circondati da tanta vegetazione. Tutti gli elementi che compongono questo insolito giardino urbano ruotano attorno all'installazione centrale ideata dal designer Matteo Cibic e realizzata da Jaipur Rugs: uno speciale tappeto in filato naturale intessuto dalle abili mani delle sarte che abitano le zone rurali di Jaipur, in Rajastan.

Certosa, il distretto nella zona nord-ovest della città al centro di un importante progetto di rigenerazione urbana promosso da RealStep, ha, invece, scelto di raccontarsi alla Milano Design Week con una mostra en plein air dell'artista visivo francese Robin Lopvet, a cura del collettivo Kublaiklan. Tra piazza Cacciatori delle Alpi e via Varesina rimarranno esposte fino a giugno una serie di immagini fotografiche, dai colori vivaci e con elementi surreali e giocosi, che documentano, in chiave ironica e accattivante, il processo di riqualificazione in essere e la comunità locale che anima il quartiere: artigiani di bottega, operai e ristoratori.
 
Spingendosi fuori dagli usuali confini della Milano Design Week meritano, infine, una visita la comunità creativa «sotterranea» di Dropcity, il centro di architettura e design ideato da Andrea Caputo nei tunnel sotto la stazione Centrale di Milano, e il nuovo flagship store di Paola Lenti, in zona Maciachini, un ex complesso industriale di 4mila metri quadrati riqualificato e trasformato in un’architettura bioecologica con showroom, lounge, uffici, giardini, serre e «uno spazio espositivo dedicato a espressioni artistiche del linguaggio contemporaneo».
 
Fulcro del progetto, che si presenta con il titolo «Oltre lo sguardo», è la natura: un giardino umido, un tetto verde impollinatore, un bosco edibile, un patio tropicale e un giardino delle perenni e bozzolo si intersecano, fino a fondersi, con lo spazio edificato, grazie al disegno ideativo di «Alfa, la casa possibile» con le sue meravigliose tonalità verdi, ma anche agli elementi d’arredo outdoor, dalle sedute di Lina Obregón e Bertrand Lejoly al tavolo Dock di Francesco Rota, con un piano a doghe in lava naturale nell’inedita finitura glacé.
 
All’interno di questo luogo magico, che è un invito a spingere la visione «oltre la sicurezza del prevedibile e la gratificazione del risultato veloce», è allestita, in un piccolo edificio non ancora riqualificato, una mostra dello studio Nendo, nuovo capitolo del progetto «Mottainai», termine che in giapponese significa «non sprecare, utilizzare le risorse che si hanno a disposizione». In questo caso a essere recuperati quotidianamente e accostati con cura secondo un coerente criterio cromatico sono stati i ritagli di tessuto Maris, un prodotto sviluppato e realizzato in esclusiva da Paola Lenti per le proprie collezioni outdoor. A partire da questi materiali, Nendo ha ideato la serie di arredi e complementi «Hana-arashi», termine giapponese, questo, che – si legge nella nota stampa - «descrive la seconda bellezza costituita dalla danza nel vento dei petali dei fiori di sakura (ciliegi), quando invece la prima coincide con la piena fioritura». Un nome che rimanda alla leggerezza, al movimento, al colore, al potere della natura di produrre meraviglia. Sostenibilità, materialità e spiritualità si sposano così magicamente dando vita a prodotti essenziali ed eleganti come un haiku, una poesia.

Didascalie delle immagini
1. Un pezzo di «Hana-arashi» di Nendo per la mostra da Paola Lenti. Courtesy: Paola Lenti; 2, Vista di «Like Trees In The Woods», installazione dello scultore Michele D’Agostino, curata Giandomenico Di Marzio per il brand italiano NichelcromLab; 3. Esterno di Superstudio +. Foto di Riccardo Diotallevi; 4. Un progetto di Domus Accademy a Tortona; 5. Talamo, scultura performativa del duo di architetti Lemonot. Performance a Base Milano; 6. Vista di «Like Trees In The Woods», installazione dello scultore Michele D’Agostino, curata Giandomenico Di Marzio per il brand italiano NichelcromLab; 7 e 8. Living Certosa un progetto di Robin Lopvet, a cura di Kublaiklan, promosso da Milano Certosa District  © Courtesy Kublaiklan. Foto di Matteo Losurdo, 9.  Collezione «Hana-arashi» di Nendo per la mostra da Paola Lenti. Courtesy: Paola Lenti

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